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      Un appiglio diplomatico all'invasione trovò nell'esercito Pontificio, composto della peggior feccia d'Europa, che il Papa aveva raccolta a tutela sua e a danno dei popoli; ed in un memorandum, presentato a tutti i governi di Europa, chiarì quali interessi nazionali e legittimi necessitassero quell'apparente violazione di diritto; e come a tutti gli Stati monarchici dovesse importare e piacere, che quegl'interessi fossero soddisfatti piuttosto coi mezzi ordinati dal governo regio, che non con le forze scompigliate e scompigliatrici della rivoluzione.
      Come i fatti rispondessero a' desideri, non serve qui il dire. La battaglia di Castelfidardo e la presa d'Ancona aumentarono l'ardore e la riputazione dell'esercito e restaurarono il credito del governo. Ma non s'era a termine dell'impresa; restava il regno Napoletano, nel quale bisognava, che, senza guerra civile, la crisi si risolvesse.
      Nell'intervallo di tempo che scorse dall'11 settembre al 29, giorno nel quale Ancona cedette, le cose nel Regno s'erano ingarbugliate di molto. La facilità di liberarlo da' Borboni era parsa a principio grandissima; da Reggio a Capua era bastato a Garibaldi marciare. Tutto fuggiva davanti a lui e gli applaudiva d'intorno, ma intanto ogni ordine di amministrazione si scompigliava: il governo, fra le opposte voglie che lo dilaniavano, non riusciva a costituirsi: e l'indirizzo di quegli i quali parevano avervi più influenza, si mostrava palesemente avverso all'indirizzo seguito dal ministero nell'Alta Italia.


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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