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      Accade il primo caso in coloro che sono stati sbalzati dalle lotte parlamentari in cotesta unione; il secondo in coloro che vi sono stati gittati dagli oscuri intrighi e da' passionati e confusi disegni delle sètte. Nè con questo io voglio dire che il conte Cavour non faccia nulla per meritarsi gli sdegni di alcuni; o che non si possa intender le cose in una maniera diversa dalla sua. Spiego soltanto un fatto, e ne noto i caratteri.
      Giuseppe Garibaldi non appartiene nè agli uni nè agli altri, perchè lascia gli uni e gli altri troppo dietro di sè. Ma l'indole del suo animo così opposto, e la cessione di Nizza ne avevan fatto e ne fanno molto naturalmente un inimico non meramente politico, ma a volta personale del Conte. Egli si trovò, dunque, a servire, quasi all'insaputa sua, di centro a tutti cotesti altri nemici, dei quali la più parte non avevan di comune con lui che un dissenso, un dispetto od un disgusto. Disperati di potere scavalcare il Conte coi mezzi legali delle elezioni e dell'assemblea, dove non il pugno, ma il riso del loro avversario basta a schiacciarli, credettero di aver trovato nell'Italia meridionale un luogo adatto ed una leva sufficiente a scalzarlo. E ci si misero. Ma da soli non potevano. Se nell'Italia del mezzogiorno il nome del capitano risonava di più che non quello del ministro, giacchè in effetti quegli era stato, più che non questi, l'autore della trasformazione politica che vi era accaduta: cotesta maggiore popolarità non bastava di per sè sola a dar credito a' nemici dell'uomo, in cui la coscienza pubblica riconosceva il felice autore d'una politica, da cui era resultata l'alleanza con la Francia, e con questa, la possibilità d'ogni altro mutamento avvenuto in Italia.


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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