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      Se non che in un paese, il quale aveva vissuto con una monarchia autonoma otto secoli, non poteva mancare un partito municipale; come, d'altra parte, la dinastia che ne era stata scacciata, non poteva non avervi lasciate alcune radici, e molti aderenti. Coloro, i quali avevano a disegno di servirsi delle forze morali raggruzzolatesi nell'Italia meridionale, per dissolvere le forze legali che reggevano nell'alta Italia il governo del Conte, trovavano, adunque, un naturale sussidio in cotesto partito municipale e nel Borbonico. Oltre di che, una buona parte di quegli avevano co' municipali e co' Borbonici un punto comune e questo era l'odio al Piemonte, la cui prevalenza nel presente moto era impossibile a negare come a cancellare; ora, di questa prevalenza avrebbero del pari fatto lor pro per infiammare la suscettibilità degli spiriti nel Napoletano, torcendo a male, ed invelenendo ciaschedun resultato dell'unione, a fine di farla parere una servitù ed una conquista.
      Questi partiti, così concordanti, provarono ogni mezzo, prima per impedire che l'annessione si facesse, poi perchè si facesse in modo, che restassero al governo italiano legate le mani e tolta l'Italia in maniera conforme, e con le stesse norme di legalità costituzionale e di libertà ordinata. E avrebbero vinto, se il Garibaldi, il quale non è incerto e non si lascia sviare, se non sino a quando non si veda contrapposto un disegno che chiaramente contrasti col suo, non avesse inteso che ogni qualunque condizione, apposta all'unione, sarebbe stata un impedimento a venirne effettivamente a capo: e non si fosse, nella lealtà del suo animo, persuaso che poichè il Parlamento avrebbe di certo votato che l'annessione s'avesse ad accogliere senza condizione, una risoluzione contraria del governo Napoletano avrebbe senza riparo scissa e lacerata l'Italia; e poichè Vittorio Emanuele s'apparecchiava a entrare nel Regno, e' non si poteva tardare a lasciare esprimere a' regnicoli la volontà loro, non si poteva più, a proclamare il Re, aspettare che fosse in Roma il Dittatore.


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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