A questo scompiglio s'aggiungeva la inimicizia di una gran parte del clero, nel quale non tutti erano nemici d'Italia e di libertą, ma tutti temevano gli effetti dei principī che s'annunciavano con la confisca delle mense vescovili e in alcuni discorsi, non prudenti, del Dittatore. Le plebi - sopra le quali, quanto pił ignoranti, tanto maggiore influenza esercitano i preti - insospettite, sopratutto nelle campagne, dove la magģa del nome di Garibaldi non era giunta.
Le finanze esaurite. In Sicilia, aumentati gli oneri del bilancio, n'erano stati diminuiti, per ingraziarsi le plebi, pił della metą i proventi. In Napoli non s'era davvero fatto altrettanto; ma le entrate, d'altra parte, erano diventate affatto disuguali agli esiti. Il sale s'era venduto per un pezzo, come se privativa non ci fosse stata mai. Le dogane, parte per il contrabbando aumentato e le tariffe diminuite, parte per lo scompiglio insinuatosi negli uffici, poco meno che ridotte a nulla. Le spese, oramai, per dirlo in una parola, riuscivano sette volte maggiori che non gli introiti; dei quali rimaneva intatta sola la fondiaria, che i proprietari, per l'antica abitudine, non tralasciavano di pagare. Il governo del Re, insomma, non ritrovava nel tesoro che 109.204 ducati; ed aveva in breve tempo a saldare l'enorme arretrato del governo della dittatura, a pagare il semestre di rendita napoletana, a far fronte a' salari moltiplicati, a dare i compensi promessi, e, per sopraggiunta, a fornire di sei mesi di soldo anticipati tutti i soldati e gli ufficiali dell'esercito meridionale, che si volle dissolvere.
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