Nè bastò. Alla dissoluzione dell'esercito meridionale si aggiunse quella del Borbonico, già principiata dal Garibaldi, e continuata poi a mano a mano con peggiore successo: giacchè anche questi soldati avevano i loro dispetti non meno tenaci, i loro affetti non meno contrastati.
Contro a tanti nemici, che trovava e che creava, il governo non aveva che un amico; ma questo non si sarebbe fatto vivo ed efficace, se non quando il governo si fosse mostrato in grado e volonteroso di stendergli la mano, e di non ritirargliela. Amica non gli poteva essere se non tutta la parte del paese, che, estranea a tutte le cocenti ire e le accanite battaglie de' partiti, voleva bensì l'unità d'Italia, ma la voleva sopratutto come mezzo e speranza di più sicura giustizia, di prosperità maggiore, di moralità più severa. Questa parte voleva l'unificazione effettiva del regno mediante la conformità delle leggi e degli ordini amministrativi; la magistratura, le amministrazioni civili e di polizia, con metodi sicuri, purificate. Se non che in Napoli, come in ogni paese, e sopratutto in paesi nuovi, questa parte non ha forza, se non quanta il governo gliene sa dare; e tanto più n'acquista, quanto più la sua fiducia nel governo aumenta; e tanto più la fiducia migliora, quanto più veda il governo adatto a reggersi nelle sue vie, e a far fronte a' partiti che non ne accettano i principî o ne minano le fondamenta.
Il conte Cavour, dopo aver mostrato ch'egli volesse ciò, fattosi aggirare da alcuni e stordire da altri, retrocedette non a proposito; acconsentì che il Farini, messo dal Re a luogotenente, si ritirasse; tolse il credito e l'autorità di mano a quegli i quali consentivano con lui, ed avevano a nemici tutti i nemici suoi: ed impedendo, che portassero a compimento un'opera già avviata, difficilissima per sè, e per le difficoltà aggiuntevi dal governo stesso centrale, commise a persone, legate d'affetto o di promesse co' partiti anarchici o municipali, il governo delle provincie napolitane.
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