Così, mostrando come di riconoscere coi fatti, che il governo del Re non avesse un suo partito in Napoli, anzi, non potesse neanche sperare di riuscire a formarlo, giacchè si dava in mano a nemici, tolse ogni prestigio a quello e a se medesimo. E permise che si consumassero due mesi, dalla fine della luogotenenza Farini all'apertura del Parlamento, a fare e disfare in quella parte d'Italia, che aveva appunto bisogno d'un indirizzo più sicuro e più pronto. I partiti avversi, vedendo cedere davanti a sè, avanzarono; ed aiutati dalla cooperazione consapevole o inconsapevole di alcuni di quegli, i quali governavano nell'ex-Regno a nome del Re e dell'unità italiana, e col beneplacito del governo centrale, cercarono di sviluppare tutti quei germi, dalla cui crescita potesse venire un ulteriore impedimento alla unità governativa dell'Italia.
Questi danni furono diminuiti dall'opposizione fatta a ciò che pareva procedere dal conte di Cavour, dagli amici suoi stessi; e dall'essersi pure in questo nuovo governo locale dovute lasciare persone che rappresentando l'indirizzo del governo antecedente, dissentivano da quello che pareva predominasse nel nuovo.
Certo, la colpa principale non fu del Conte stesso; ma bensì di coloro, i quali lo consigliarono. Come, d'altra parte, si deve, di certo, credere, ch'egli non avrebbe consentito, se non avesse creduto, che a' danni, che sarebbero potuti prevenire dalla mutazione fatta nel governo, si sarebbe posto facilmente rimedio dopo la presa prossima di Gaeta, di Messina e di Civitella, quando il governo centrale avrebbe avuto maggiori mezzi e forze di vincere i contrasti.
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