Se non che Gaeta, stante l'ambigua politica della Francia, tenne saldo più che non si sarebbe potuto credere; e Francesco II mostrò all'ultima ora una maggiore pervicacia, che gli si avrebbe supposto, mostrando di non aver dimenticate le antiche arti della sua dinastia, così fiacca e cedevole nelle resistenze oneste, come vigorosa e tenace nelle reazioni perfide. Oltre a che, si aveva a prevedere, che, Gaeta caduta, se le forze ed il credito del governo si sarebbero accresciuti da un lato, uno dei partiti avversi - il più vivace forse - si sarebbe tenuto più libero e più sicuro nell'affrontarlo; ed intorno a questo, i Borbonici che, col licenziamento dell'esercito, ingrossavano nelle provincie, ci sarebbero aggruppati e raccolti.
Oggi, il governo del Re non si trova, nell'opera che aveva a compiere nelle provincie napoletane, più avanti di quello che fosse l'11 novembre dell'anno scorso; e certo molto meno che non era il 15 gennaio di quest'anno. Dall'apertura del Parlamento in poi, l'avviamento è migliore, stante il congedo dato ad alcuni, e le competenze dei governi locali ristrette; ma ancora la condizione della provincie napolitane resta uno dei più gravi pensieri e delle difficoltà le più serie, che deve ancor vincere il governo del Conte.
V.
La turbata condizione dell'Italia meridionale non è di certo la sola delle difficoltà tra le quali oggi si dibatte il conte di Cavour; e neanche è la maggiore. Ma quello che dà intera e giusta fiducia che di tali difficoltà si debba pure, con lui a guida, poter venire a capo, è che nessuno n'ha più di lui chiara ed efficace cognizione; nessuno meglio di lui sente dove si debba vincere per discioglierle; nessuno si ritrae più destramente da una falsa via, per la quale si sia messo; nessuno, meno di lui, si spaventa di ciò che è incaglio passeggero e temporaneo; nessuno sa, quanto lui, distinguerlo da ciò che diventerebbe, non sopraffatto a tempo, un incaglio duraturo ed insormontabile.
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