A esempio, quello di Manfredi con madonna Spina, madre poi di Ruggero, si conchiude con un colpo di stile che fende a tradimento il cuore di codesta sagrificata sposa del futuro traditore conte di Caserta; e l'altro di Yole con Ruggero, ardente e dilicato amatore che una volta il romanziere stupendamente ti dipinge vegliante sui sonni della angelica amata, più ti abbrividisce che non ti commova quando scuopri che entrambi, amante e amata, hanno un medesimo padre, Manfredi.
Non parrebbe egli codesto un preludio di quella singolare virtù di sarcasmo che il grande Livornese spiegò più tardi maggiormente a parole e in iscritti contro i feroci nemici o i tiepidi amici della libertà e della nazione italiana? Ben è vero che cotesta narrazione comparisce mirabilmente fatta; e agita e scalda nelle vene anco ai più freddi il sangue; e, leggendo, ti senti pieno di terribile commozione il petto e di fiere lagrime gli occhi, e la destra disiosa di battaglia ti corre al manco lato per cercarvi la spada.
Ed è ciò, del resto, che sopratutto, per non dire esclusivamente, si propone il Guerrazzi; il quale non sceglie il romanzo, la più popolare, ai dì nostri e la più gradita delle forme letterarie, altrimenti che come cornice di un quadro dov'egli sempre dipinge tutto sè stesso, pensieri ed affetti, timori e speranze, dubbio e fede. Così, con le caldissime pagine della Battaglia di Benevento, nel primo momento che le immaginava e le scriveva, egli non intese forse che di trovare un argomento, creare personaggi, raggruppare fatti di tale una maniera, da potere con essi e per essi pronunciare, in servigio d'Italia, parole e sentenze che altrimenti non avrebbe potuto, causa la distruzione de' popoli e gli ostacoli de' governi.
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