Io, al contrario, son di parere che primo, per avventura, il vate britanno gli abbia, per così dire, alzata la fatale cortina che agli avidi occhi gli nascondeva il divinato mondo; e il neofito, se corre l'espressione, penetrando i misteri presentiti, li rintracciò allora sulle orme dello illustre straniero; e qualche nota di costui si sentì veramente risonare in quei tempi, pure nella Battaglia di Benevento, sulle corde dello Italiano; ma subito il Guerrazzi si sciolse dalle pastoje della imitazione e fu nuovo e originale eziandio in quelle opere che più pajono foggiate al canto della musa di Byron; e anche in questa di cui ora è parola. O meglio: se pure alcun suono dell'Inglese echeggiò nella scuola italiana del Guerrazzi, alle note fornitegli dallo straniero un'altra egli ne aggiunse nuova e nostra e siffatta da mutare pienamente la natura e il carattere di tutta l'armonia che si elice da quella cetra. Per di più, e massimamente, le facoltà immense e diverse che tutte nel Byron concorrono a esprimere la passione, per quantunque potentissima, di un uomo solo, sono usate dal Guerrazzi per significare veementissimi desiderj che tormentano moltitudini e nazioni. L'Inglese è interprete di sè; l'Italiano, di un popolo intero, del quale egli comprende in sè i dolori, le brame, le speranze, aspettando e operando che vengano alla coscienza di tutti. Byron, sopra una società che si sfascia e un mondo che muore, intona un canto di lamento disperato; Guerrazzi, nel cospetto di generazioni che dal sepolcro, dove le ha cacciate la tirannia di più secoli, attendono la promessa di una seconda vita, si conforta di un raggio di speranza; e solamente gli accenti della disperazione piglia talora a imprestito perchè gli reputa più gagliardi e più efficaci, sopra animi fiacchi e paurosi, a ridestare la idea dello avvenire e il moto della risurrezione.
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