Corre, fra lo straniero e il nostro, quanto da un urlo di morte a un grido di battaglia, sebbene riescano amendue così poderosi e tonanti da tremarne sbigottita la terra che ne è percossa.
IV.
Feci lunga dimora e generale discorso, intralasciati molti notevolissimi particolari, sulla Battaglia di Benevento, per essermi parsa, non pure il preludio di quella nuova, splendida, copiosissima poesia che il Guerrazzi profuse a piene mani ne' suoi scritti dappoi, ma la vera sinfonia che ti fa presentire e ti caratterizza l'opera futura. Tu puoi già leggere in cotesto primo romanzo la storia e apprendere la fede, direm così, letteraria, morale, politica onde si produssero l'Assedio di Firenze, la Veronica Cybo, la Isabella Orsini, la Beatrice Cenci, la Vendetta paterna, la Torre di Nonza, la Storia di un moscone, il Pasquale Paoli, il Cavaliere Pellicioni, tutti, insomma, que' guerraziani racconti, arditissimi d'intendimenti e di forme, onde si inaugurò e specialmente si nutrì la scuola toscana della agitazione di fronte alla lombarda che piglia carattere e veste, sopratutto, dalla rassegnazione.
L'indole dell'uomo, la natura del suo ingegno, il colore e lo scopo delle sue scritture non erano certo siffatte da conciliare al Guerrazzi la benevolenza dei supremi reggitori della Toscana e delle minori autorità che ne doveano praticare gli intendimenti ed i voleri. A rovescio, già a Pisa, quando era tuttavia scolare, avea patite alte e basse persecuzioni di ogni fatta; e per letture di liberi giornali di Napoli, fatte ad alta voce in pubblico caffè, era stato bandito, per un anno, dalla università. Dopo stampata la Battaglia di Benevento, la polizia non lo perdeva d'occhio; tanto più che, senza andar seco d'accordo in più di una cosa, erasi tuttavia legato di amicizia col Mazzini, fondando con lui l'Indicatore Livornese, giornale che, alzata bandiera di romanticismo, mascherava con la letteratura la politica.
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