Nondimanco a società segrete non appartenne mai, sebbene altri affermi averne egli stesso alcuna immaginata ed istituita. Per verità ripugnava dal farsi schiavo di chicchessia; e ciò, anzi, gli fu poi causa di appartarsi interamente dal Mazzini, onde già tanto differiva per naturale carattere e tempera d'ingegno e per modo di sentire in cose di politica pratica. Bensì tutte quelle congreghe le conosceva; e tutte, ora per questa ora per quell'altra bisogna, si rivolgevano spesse volte a lui; ed egli liberamente, e non a mo' di settario, ajutavale in que' tentativi che gli paressero proprio generosi e proficui alla libertà e all'Italia. Finalmente, ragione o torto, gli toccò il carcere, per la prima volta; liberatone dopo pochi mesi in mancanza di prove, fu sottoposto a nuove e peggiori poliziesche vessazioni, le quali più tarde si conchiusero con una seconda prigionia. E in questa, per lo appunto, egli scrisse il più famoso finora e il più efficace de' suoi libri, il poema, voglio dire, sacro alla rigenerazione italiana, L'Assedio di Firenze.
V.
Glielo inspirò il veemente desiderio di rinvigorire, per lotte novelle e maggiori gli animi de' liberali infiacchiti dallo spettacolo miserando di generose imprese vanamente, con danno grandissimo e rovina di molti, tentate dapprima: gliene somministrarono il colore i tetri fastidj e i fieri sdegni del carcere, la memoria dolorosa di domestici lutti o di caramente dilette persone perdute e la fiducia di trovare in quel periodo di storia che era secondo il suo cuore e nella virtù di magnanimi morti argomento e modo di percuotere i degeneri vivi; di ridestarli, di spingerli a farsi, con nuove opere in pro' della patria infelicissima, degni degli avi.
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