Mi contenterò citarne uno: quel di Pieruccio profeta del popolo, incarnazione del popolo, il quale, spregiato, irriso, calpesto, raramente si lascia vedere, nel giorno, a' suoi concittadini, e ne schiva, più gli è possibile, l'incontro perchè loro non prenda il prurito di spargere il suo sangue, onde il Signore potrebbe chiedere conto e fare vendetta sovr'essi, con la rovina della città. Di notte, solo, si aggira dove ci sia da vegliare e da combattere; soffre senza un lamento, un gemito, gli strazii d'una continua immeritata passione; e va spontaneo, quando l'agonia della patria è cominciata irreparabilmente, a coricarsi nella fossa per attendervi anch'egli la morte e confondere il suo sospiro con l'ultimo sospiro della sua terra.
Ma delle infinite bellezze di questo libro, così nella sua parte ideale come, nella storica, io tacerò, e anco dei difetti; degli uni e degli altri discorse lungamente il Mazzini e con tanto raggio di critica da non poter essere superato; e, alla sua volta, gli rispose con opuscolo apposito il Guerrazzi, dichiarando le sue teorie letterarie e le politiche, i suoi intendimenti e le ragioni di questo episodio e di quell'altro, dei personaggi, dei fatti diversi, del modo di disegnarli e colorirli a seconda del suo sentire e del suo bisogno. Mi basterà convenire che niuno, o vogli storico o vogli romanziere, scrittore di prosa o di verso, seppe finora meglio del Guerrazzi afferrare, approfondire, esprimere in una sintesi il segreto di quel momento storico che abbraccia l'Assedio di Firenze.
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