Egli solo nell'anima immensa comprese e col poderoso ingegno raccolse, disegnò e colorì nella sua tela tutti, per così dire, gli elementi costitutori di quel periodo storico, uomini, fatti, idee, le cause loro e gli effetti latenti; e le relazioni prossime o remote, dirette o indirette, del presente col passato e con l'avvenire. Egli solo trovò nella minacciata, lottante e, da ultimo, spenta libertà fiorentina l'immagine, il simbolo, il compendio, se mi sia lecito il vocabolo, della italiana; e in Firenze vide, amò, pianse, sentì, insomma, la nazione, quanto è vasta, dall'alpi, a Sicilia.
Vi fu cui piacque mettere a confronto con l'Assedio di Firenze il romanzo dello Azeglio che tratta il medesimo tema. A me pajono i due libri procedere così essenzialmente come formalmente diversi. Nel meritamente lodato autore del Niccolò de' Lapi, che certamente conta fra i migliori discepoli del Manzoni di cui fu genero, sebbene non manchi certamente il cittadino, ti occorre meglio l'artista sull'esempio del suocero. Massimo d'Azeglio ha chiesto alla sua immaginazione di generose reminiscenze storiche nutrita, e questa facilmente gli tornò un tema nobilissimo da splendidamente disegnarne e idealmente colorirne siffatto un quadro che gli valga l'applauso dei contemporanei e l'ammirazione dei posteri. E coteste due cose egli ottiene fin d'ora e otterrà per la ingegnosa invenzione del soggetto, la sapiente disposizione dei gruppi, la giusta proporzione delle parti, la correzione del disegno e l'armonia delle tinte.
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