» E coteste medesime cose con altre parole riconferma nella introduzione alla vita di quel Francesco Ferrucci ch'egli, nello Assedio, ritrae con tanta verità e con tanta passione d'affetto da parere che ne abbia sentita l'anima con l'anima di lui.
E ancora le ripeteva al Marc-Monnier; il quale narra dal Guerrazzi aver sentito che «ses livres ne sont pas des ouvrages, mais des actions. Avant a tout, ici (in Italia) nous devons être hommes. Notre devoir est d'agir et de combattre. Quand nous n'avons pas d'épèe, nous prenons la plume», traduzione dell'altro detto a proposito particolarmente dell'Assedio di Firenze questo libro è pensato come una sfida, scritto come si combatte una battaglia.
Invero, con gli intendimenti che sopra si dissero, Guerrazzi reputò: «carità adoperare tutti i tormenti adoperati dagli antichi tiranni e dal Sant'Uffizio ed altri ancora più atroci inventarne per eccitare la sensibilità di questa patria caduta in miserabile letargia; egli la feriva e nelle ferite infondeva zolfo e pece infuocati; la galvanizzava, e Dio solo conosce la tremenda ansietà quando la vedeva muovere le labbra livide e gli occhi spenti. Forse, diceva tra sè, la sua virtù si rifugiò nello orgoglio, o forse nell'ira o nella pietà o nella vendetta o nella gloria forse dorme nella tomba paterna, o piuttosto l'accenderà il presagio delle glorie future; cerchiamo dentro i sepolcri, interroghiamo le ceneri: cielo, terra e inferno rimescoliamo: provochiamo la misericordia ed anche la collera del Signore, purchè a noi converta gli occhi suoi rivolti altrove; non importa che egli ci benedica o ci maledica, lo placheremo poi, purchè ci faccia vivere!
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