Chi non si fece pietosamente a investigare le orribili cause che un cuore di angelo sembrarono pervertire in anima di demonio e armare del pugnale de' parricidi la più bella e morbida mano che mai chioma d'amante e amato giovane accarezzasse? Beatrice, alla quale fu per lo appunto cagione di tormento continuo e disperato in vita e di suprema sciagura cotesta sua beltà fisica e morale, piuttosto vicina alla celeste che superiore alla umana, cui Guerrazzi ci viene in stupende parole magnificando con lusso forse soverchio di poesia, rimase, da bambina, orfana della madre. La matrigna Lucrezia Petroni, eccellentissima (stando al Guerrazzi) fra quante mai vissero femmine al mondo, ma di natura floscia e dappoca, non che sapesse consolare o difendere altrui, abbiosciava ella stessa sotto il peso dei proprj guaj; i quali, a vero dire, non erano pochi, perciocchè la avesse con ipocrite arti tratta alle sue nozze il Cenci col feroce proposito di provarle come, fanciulla, a ragione paventasse di lui più del demonio. La sorella, Olimpia Cenci, non reggendo all'inferno di casa, se n'era sottratta e vivea lontana col marito. Dei fratelli, Giacomo, il maggiore, insieme con la moglie Luisa e i pargoletti lottava contro la fame e la disperazione, pensoso più di altrui che di sè stesso, eppure, per nequizia d'uomini e di cose, molto anche di sè; Cristofano e Felice mandati in Spagna allo studio di Salamanca, vi erano morti; e il padre, che li aveva nutricati di ingiurie e di stenti, inneggiò banchettando sulla loro tomba; Virgilio, poco più che infante, sparuto, mingherlino, stecchito, travagliato nel corpo dalla febbre, nell'animo dall'incessante terrore del padre, sul cominciar della vita anelando alla morte, non poteva rispondere alle angosce di Beatrice altrimenti che con tremiti e pianti.
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