Ma nella Beatrice ancora ci viene significata un'altra cosa che, sebbene alquanto diversa, può tuttavia facilmente attaccarsi alle testè accennate. - La dolorosa esperienza, ci fa, pur troppo! comechè a malincuore, diffidare dei tempi, degli uomini, di tutti, in una parola, e di tutto. A Dio nel cielo crediamo, o ci sforziamo di credere, perciocchè, senza di ciò, che disperata vita non sarebbe essa la nostra? E quale avremmo stimolo a sostenere la dimora sulla terra se non fossero la fede e la speranza in Dio? Ma quale espressione di Dio, che nei momenti di dubbio sostenga l'anima nostra e ci riveli il cielo, v'è ancora quaggiù? Per avventura, la forza? Regna senza la ragione: a dispetto, in odio della ragione; e in mano agli oppressori percuote a sangue il capo degli oppressi. O l'ingegno? Corrotto e corruttore troppo più spesso ci manifesta il sofisma dello inferno che non ci tramandi la verità, che splende nei cieli. Ora, adunque, che resta? La bellezza; il culto della quale, insieme con l'amore, «riconduce la nostra schiatta diseredata alla sua origine divina... I magi d'Oriente e i sofi della Grecia insegnarono che Dio favella in lingua di Bellezza.»
Pertanto, facendo sorgere dal suo sepolcro d'infamia e svelarsi quale fu, angelo di martirio la Beatrice Cenci, Guerrazzi rivendicò la fede nella Bellezza, che è la fede in Dio(2).
X.
Già, nella sua prima gioventù, al tempo dell'immeritato confino a Montepulciano, per dare un qualche sfogo alla amarezza contro gli uomini onde a lui derivava una guerra così disonesta ed a' suoi parenti ed amici sfortuna, e per temperare alquanto la noja di quella dimora cui non avrebbe saputo o potuto vincere altrimenti, Guerrazzi ponea mano al racconto della Serpicina.
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