Nell'Asino finge l'autore, per via di sogno, essere alla fine del mondo, alla vigilia del Giudizio e nel novero di que' morti da secoli e secoli, che, svegliati nelle loro sepolture, dovendo e volendo alla presenza de' loro giudici comparire, s'industriano ricomporre lo scheletro e la persona intera, raccogliendo le proprie ossa sparse di qua e di là, in parte smarrite e in parte confuse con altre. Perchè si vegga quanto ridicoli nanucoli siano questi boriosi uomini che una volta si pensarono essere dappiù degli altri animali, l'autore ci ammonisce che tutti si trovano come in una selva, frammezzo le chiome ritte di un gigante, petulanti quando credono ch'ei non possa muoversi, timorosi e vili quand'egli cammina a concitati passi squassandoli come passeggeri sopra nave in burrasca. Ora nasce una lite, un parapiglia fra i morti; chè ossa vi mancano e membra parecchie; e tutti fanno a chi prima ne afferri, ciascuno volendo che elle siano sue. Quando scendono gli angeli per cominciare il giudizio, il piato non è ancora composto: e perchè essi in cotesto affare delle ossa ci veggono anche meno degli uomini, e di cercare non hanno il tempo e peggio la voglia, lasciando gli uomini cuocere, come gli spinaci, nella broda loro, il giudizio rimandano a quarantamila secoli dappoi. E intanto, per guadagnar tempo, comandano si faccia il giudizio delle bestie, le quali mettono fuori certi loro diritti di supremazia o almeno di eguaglianza che, se mai fossero veri, mostrerebbero gli uomini valere assai meno o appena altrettanto di loro.
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Asino Giudizio
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