Ed anche perciò reputiamo fortuna che un italiano, e contemporaneo, e d'ingegno e di dottrina riputatissimo, le vite dei massimi nostri pigliasse ad esprimere non pure in stile, ma con concetto uniforme.
Egli poi, appunto perchè sempre e in ogni cosa italiano, nel condurre siffatto lavoro volle seguire la scuola sperimentale appresa dai nostri sommi maestri di storia; la quale non lascia alla fantasia usurpare «il campo della speculazione storica, ma fa di raccogliere con molto studio i fatti, cernirli, e s'industria di operare sì che il giudizio assai da vicino gli ormeggi, non tanto per le considerazioni che spillano, per così dire, dalle loro viscere, quanto per le altre le quali nascono dal confronto di fatti di natura conforme.» Il che fa veramente storia, e non dramma o romanzo o d'altra maniera fantastico scritto de' bagliori della storia inorpellato.
XIII.
Dunque anco la vita del Burlamacchi è macchina di guerra contro Roma.
Ma cotesta causa tuttavia viene di miglior proposito trattando in un'altra opera apposita e recentissima, la quale, per lo appunto, intitola l'Assedio di Roma. Quivi, narrando le mirabili prove contro i quattro eserciti dei Borbone, della Spagna, dell'Austria e della Francia fatte nel 1849 dal fiore de' più audaci liberali convenuti nella eterna città, quasi per attestare con le armi il nostro diritto ad averla sola capitale, dopo una vigorosa e vivissima introduzione, improntata della fantasia dell'antico romanziero, si fa in quattro parti, con ardito pennelleggiare e vario colorito e vasta dottrina e frizzanti immagini a chiarire: Il bisogno supremo della Italia di avere Roma; il diritto del popolo italiano su Roma; quello che il popolo ardisse per ripigliarsi la sua Roma; quello che incombe alla monarchia eletta dal popolo, e quando, di compire su Roma.
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