Ma una analisi più severa persuaderà chiunque che il passo di Giuseppe relativo a Gesù è tutto quanto completamente interpolato.
Difatti esso si trova come smarrito in mezzo a un capitolo, senza connessione alcuna con quanto lo precede né con quanto lo segue. Esso è collocato fra il racconto di una punizione militare inflitta al popolaccio di Gerusalemme, e gli amori di una dama romana con un cavaliere il quale ottenne i suoi favori facendosi credere, mezzani i preti d'Iside, una personificazione del dio Anubi. Di più: questi due avvenimenti sono dallo storico stesso legati l'uno all'altro; perché, facendosi a raccontare il secondo, egli lo chiama «un altro accidente deplorevole». Ora queste parole «un altro accidente» non possono aver rapporto che col primo, che era la sedizione popolare colla relativa punizione.
Il passo intercalato fra questi due avvenimenti non può quindi essere di Giuseppe, perché rompe bruscamente il filo della narrazione, mentre Giuseppe possiede perfettamente, in tutta l'opera sua, l'arte di mettere ogni cosa al suo posto(12).
D'altra parte in questo passo Giuseppe parla di Cristo come avrebbe fatto un buon cristiano, poiché lo chiama un essere soprannaturale e lo connette colle predizioni dei profeti. Ora, avrebbe potuto Giuseppe tenere un tale linguaggio, ossia credere nella divinità di Cristo, senza diventar cristiano, ma continuando a rimanere, come rimase, ebreo? La cosa è di tale evidenza che perfino l'erudito padre Gillet è obbligato a riconoscere che Giuseppe non avrebbe potuto parlare così, come avrebbe fatto un cristiano, eppertanto che questo passo di Giuseppe deve ritenersi come interpolato(13).
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