Infatti i Vangeli sono un miracolo continuo sia nell'ordine fisico che nell'ordine morale.
Ora, trattandosi di cose soprannaturali, occorrerebbero prove certe ed autentiche perlomeno quanto quelle che si richiedono per i fatti comuni. Invece, ce ne danno molto di meno: anzi, nessuna!
E mentre essi non ci danno alcuna prova di quanto affermano, niente esiste, nella storia profana, nessuna traccia, nessun documento che accenni a quel che in essi viene sdoganato.
In tali circostanze, chi non vede che tutto quanto in essi è narrato è figlio dell'immaginazione, se non se dell'impostura sacerdotale, e che niente, assolutamente niente può essere salvato di quanto essi, ed essi soli, e nel modo straordinario che fanno, e senz'autorità di sorta alcuna, ci hanno dato ad intendere per tanti secoli?
Noi non faremo una colpa a critici positivi ed autorevoli, come molti di quelli che ci hanno preceduti e che hanno dissodato il terreno per noi, di non essere venuti a questa conclusione; il pregiudizio due volte millenario che ha lavorato i nostri cervelli, deponendovi l'errore nello strato più profondo, è tale forza da non permettere neanche ai più veggenti di liberarsene d'un colpo solo. Qui, più che in ogni altro campo, torna vero il leibnitziano natura non facit saltus.
Ma non si contesti più alla logica il diritto di arrivare a quelle conclusioni le quali non sono altro che la conseguenza necessaria delle loro stesse premesse.
Pertanto, se il fatto della clandestinità e della inattendibilità dei libri del Nuovo Testamento non potrebbe bastare da solo, e noi non lo neghiamo, a legittimare la conclusione che Cristo non è mai esistito, esso è però di tale gravità, data la natura teologica e soprannaturale dei libri stessi, da rendere molto cauta la critica nell'accettare anche solo una minima parte di quanto in essi è narrato.
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