E n'è tanto più escluso in quanto si tratta di una vita tutta miracolosa, il che non dovrebbe mai essere dimenticato(62).
Non c'è dunque alcuna via di mezzo: o accettare in blocco la rivelazione, o rigettare l'umanità del Cristo e lasciarlo tutto quanto alla teologia.
La teologia è al suo posto dicendo che le profezie provano il Cristo: difatti il Cristo non fu che la loro personificazione più o meno riuscita, in quanto era possibile.
Ben l'ha visto il Scherer - senza che neppur egli arrivasse alla sola logica conseguenza che ciò importerebbe - quando scrisse che «Gesù non è né un filosofo né il fondatore di una nuova religione, ma il Messia», che «la chiave della vita di Gesù è il compimento della profezia messianica», e che «l'idea messianica è il centro dei fatti evangelici, anzi, la ragione d'essere istorica di Gesù»(63).
Cristo non venne adunque al mondo che per compiere la profezie: ma siccome questo non è fatto umano, ma trascendentale, tanto vale il dire che Cristo venne al mondo soltanto come simbolo, vale a dire che non è mai esistito.
Oggi non si ha più bisogno di negare che l'Antico Testamento prova il Cristo: il soprannaturale non imbarazza più.
Ma questa testimonianza della missione del Cristo col mezzo delle profezie è la stessa ragion d'essere di Cristo, il quale non sarebbe Cristo, od il Messia, ove non corrispondesse esattamente al Messia vaticinato.
Veramente questa maniera di essere di Gesù ha, dice il Dide, - con esatta ponderazione dei testi, ma anch'egli senza venire alla sola logica conseguenza di siffatta constatazione - «la conseguenza di rendere Gesù ed i suoi Apostoli indifferenti all'umanità. Infatti, quando si legge con attenzione imparziale il Nuovo Testamento, si è obbligati di constatare che il sistema di narrazione degli scrittori apostolici uccide ogni interesse ed ogni emozione.
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