In Matteo, come abbiam visto al capo precedente, Gesù dichiara che egli non è venuto per abolire la legge di Mosè, ma per compierla. Ora, qual valore può avere questa dichiarazione, e conseguentemente tutta l'opera di Gesù, dal momento che oggidì è definitivamente stabilito che i libri attribuiti a Mosè sono apocrifi?
Al capo XII di Giovanni, Gesù parla alla folla che lo ha ricevuto in trionfo gridando: Osanna! ed acclamandolo Re d'Israele (v. 13), che testimoniava aver egli risuscitato Lazzaro (v. 17) e che lo credeva inspirato da un angelo (v. 29). Ebbene: malgrado che quella folla avesse già fatto, detto e visto più del necessario non solo per credere in lui, ma per divenirne entusiasta fino alla pazzia, tuttavia l'evangelista dice che essa non gli credette (v. 37) e che egli, appena ebbe finito di parlarle, andò a nascondersi! (v. 36). Il Larroque, dinanzi a questa assurdità sbalorditiva, non può spiegarsela altrimenti che quale una distrazione del narratore. Invece essa è una delle più belle prove del carattere simbolico e niente affatto storico che la Bibbia stessa attribuisce a Cristo. Imperocché subito dopo l'evangelista spiega i motivi di siffatte stranezze dicendo che avvennero:
«38. Acciocché si adempiesse questa profezia di Isaia: Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione? ed a cui è stato rivelato il braccio del Signore?
«39. Pertanto non potevano credere, perciocché Isaia ancora ha detto:
«40. Egli ha accecati loro gli occhi, ed ha indurito loro il cuore; acciocché non veggano cogli occhi, e non intendano col cuore, e non si convertano, ed io non li sani.
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