Indi l'officiante si prosternava, si rialzava, levava le mani al cielo, le stendeva sull'ostia, si voltava verso ai presenti, bruciava l'incenso e offriva il pane e il vino alle divinità, invocandole tre volte come nel Sanctus e nell'Agnusdei. Infine, dopo un'ultima libazione congedava gli assistenti; a Roma colle parole: ite missio est, donde è venuto, per corruzione, l'ite missa est.
Il prete ariano, offrendo il soma, innalzava anch'egli, come il prete cattolico, la coppa di legno in cui era contenuto.
Anche i Persiani avevano la loro eucaristia, ossia un sacrifizio simbolico di pane e di vino.
Nelle preghiere il cristianesimo è rimasto piuttosto al disotto delle religioni che gli servirono di modello. I buddisti hanno la loro corona - divenuta fra i cristiani quella del rosario - di cui volgono tra le dita i grani segnando sopra un foglio il numero delle recite. Essi hanno immaginato perfino delle ruote munite di manovella, con sopra scritte le preghiere; facendole girare essi accompagnano col pensiero questo strano modo di recitazione, riuscendo a dirne certamente un numero ben maggiore che non tutti i baciapile della cristianità. Nella religione di Zoroastro è prescritto di pregare con fervore, con purezza di pensieri, di parole e di azioni: la preghiera umile, accompagnata da sincero pentimento, era tenuta superiore a tutto quanto esiste; anche mal fatta, si credeva fosse esaudita, se partiva da un cuor puro. Il pater, il credo e il confiteor erano preghiere note ai Persiani.
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