Il cristianesimo venne quando Ebrei, Greci e Romani avevano persa la libertà e la felicità, e la speranza di riacquistarle nel mondo presente: esso venne quando la gioia del vivere, propria dell'antichità primitiva, che ebbe il suo apogeo in Grecia, fu distrutta dalla riflessione e dalla pratica dolorosa della vita, facendo luogo alla noia del vivere, alle disillusioni recate dalle continue sciagure, a quel dolore universale delle cose che rendeva l'esistenza inesplicabile ed intollerabile eziandio, e forse soprattutto, perché con la coltura era cresciuto anche il sentimento della intollerabilità dei mali che affliggevano gli uomini ed i popoli. «Se non che - per servirci delle parole di Gaetano Negri, l'impareggiabile filosofo artista - non potendo l'uomo rinunziare alla felicità, egli non ha che un modo di uscire dalla sua miseranda condizione, ed è quello di trasportarla, la sua felicità, dalla vita terrena a una vita trascendentale; ammettere la sciagura nel mondo presente; ma distruggerla, direi quasi, con la speranza della felicità nel mondo futuro. Fu questa precisamente la dottrina del cristianesimo»(305).
La scienza sperimentale non era ancor nata, e l'umanità sofferente non aveva allora altro rimedio contro i mali di questa vita, fuor che le speranze d'oltre tomba.
Fu dunque, il cristianesimo, una dottrina nata dalla decadenza, e fu, conseguentemente, la religione della decadenza(306).
Vediamo, difatti.
La sorte del popolo ebreo, continuamente sbattuto fra una dominazione e l'altra, e deluso alfine nelle sue speranze di un ritorno dei tempi felici e della gloria, aveva di lunga mano preparato quella letteratura del dolore, che doveva consolare gli umili e gli afflitti, e servire di leva potente per la formazione e la diffusione di quello che fu poi chiamato il cristianesimo.
| |
Ebrei Greci Romani Grecia Gaetano Negri
|