Eppure, malgrado tante proscrizioni e tante distruzioni, malgrado il regno del terrore e dell'inquisizione, non riuscì fatto alla Chiesa cristiana di conquistare il politeismo alla nuova fede.
Allora dovette piegarsi ad un ultimo espediente, che le assicurò finalmente il trionfo e che, se non le diede il consenso consapevole dei popoli, per lo meno rese tributarie della sua dominazione le antiche pratiche religiose, volgendo in di lei profitto la gran forza dell'abitudine. Essa, cioè, adottò le pratiche esteriori del culto già in uso fra i pagani; ciò che, tolto un nuovo strappo a quella dottrina, che voleva adorato Dio in spirito e in verità, le doveva costare ben poco, dacché aveva ereditato già, fondendole e amalgamandole, la morale e la dottrina delle religioni precedenti.
Si è già visto che il culto cristiano non è che un amalgama di cerimonie tolte ai culti precedenti.
Ma qui assistiamo al processo d'integrazione di questo culto, processo mediante il quale esso si assimila le pratiche e le divinità stesse del paganesimo romano, trasformandole solo e corrompendole, o meglio si adatta esso stesso all'ambiente romano, in cui la nuova religione venne a consolidarsi integrando il culto primitivo con le forme dell'italico paganesimo. Di questa guisa il cristianesimo diventa a sua volta idolatra e feticista. Come il politeismo non ha distrutto il feticismo, ma vi si è soltanto sovrapposto, così a sua volta il cattolicesimo si è sovrapposto al politeismo senza distruggerlo, ma solo subordinandolo ai propri fini.
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Chiesa Dio
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