Il quale se era Dio non poteva morire, e se era uomo non poteva risuscitare. Infine per colmo d'immoralità, perché questo Dio fosse ucciso, occorreva chi l'uccidesse; quindi, costringendo un popolo ad un deicidio, Dio condannò questo popolo all'infamia, infamia tanto più immeritata in quanto era una necessità determinata da Dio stesso per compiere il suo piano. E tutta questa serie di immoralità, per salvare non l'umanità tutta, ma solo chi, senza suo merito, venne al mondo solo dopo Cristo; anzi, una minima parte anche dei venuti dopo di lui, perché il mondo, dopo diciannove secoli, non è ancora in maggioranza cristiano; peggio ancora, per salvare una minimissima parte anche dei cristiani, quelli predestinati da Dio! Evidentemente, Cristo è esclusivamente di fattura teologica.
(161) IV, 18-22.
(162) I, 16-20.
(163) XXI, 8-11.
(164) Luca XXIII; Giov. XIX.
(165) Marco IV, 13, 18; VIII, 17, 18.
(166) Matteo XIII, 13; Marco IV, 12.
(167) Giov. III, 1.
(168) Giov. VII, 50 ss.
(169) Giov. XIX, 39.
(170) I, 12; III, 4-5.
(171) Atti degli Apostoli, XXVI, 5.
(172) Dide, op.cit., p. 93.
(173) Peyrat, op. cit., p. 338.
(174) Quello che c'è di più strano nell'epoca moderna, il fenomeno più ricco d'insegnamenti, e che prova almeno la grande buona fede dell'umanità, è il fatto che Cristo serve tanto ai rivoluzionari quanto ai despoti. Ed hanno ragione gli uni e gli altri. Infatti Cristo predica la rassegnazione; san Paolo vieta perfino di reclamare e di fare giustizia (I Cor., VI, 7); e dichiara che ogni potestà venendo da Dio sarà condannato da Dio chiunque vi resiste (Rom.
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