XIII, 1-2). Questo per i despoti. Ma ce n'è anche per i rivoluzionari, anzi per gli stessi anarchici. Infatti non solo Cristo esalta la povertà, com'è noto; ma egli considera perfino il civile governo come un abuso e ogni magistrato come un naturale nemico degli uomini e di Dio (Matt. X, 17-18; Luca XIII, 11). Or non è edificante questa doppia faccia del cristianesimo? E non sono per lo meno ingenui coloro che basano le loro speranze e i loro privilegi su questa morale siffattamente contradditoria? Ma, sopra tutto, non si vedrà alfine che una morale così contradditoria non può essere stata l'opera di un uomo solo?
(175) I difetti della morale cristiana sono così evidenti, che molti cattolici eruditi, non potendo negarli, e non volendo decidersi ad abbandonare la fede, li collocarono fra le prove della divinità di questa religione, facendo il medesimo ragionamento dell'ebreo Abraham, che, avendo constatato in Roma le turpitudini della Corte pontificia, si fece cristiano, col dire che, se questa religione aveva potuto trionfare e sussistere malgrado tanta corruzione, era segno che godeva della celeste protezione. Citiamo, per tutti, Nicolò Tommaseo, il quale scrive: «Soldati pagani, appaltatori generali, femmine dal mondo dette perdute, un uomo che mente e tradisce il suo amico, un uomo che custodisce le vesti di persone intese a lapidare un innocente, eccovi quali sono gli eletti di Gesù Cristo. Questi vuole che lo storico dei suoi prodigi e delle sue virtù registri fra gli antenati del Salvatore del mondo un fornicatore, una meretrice, un'adultera, un re traditore ed omicida.
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