PARTE PRIMADISSERTAZIONE
Sul VI Comandamento del Decalogo
Questo lubrico argomento essendo sempre, per la nostra fragilità, pericoloso non lo si deve studiare che per necessità, con animo vigilante, con retto fine, e invocando la suprema assistenza di Dio. Chiunque facesse troppo a fidanza colle proprie forze, e si gettasse perciò in questo argomento senza discrezione e senza prudenza, non ne uscirebbe certamente illeso, poichè dice la Scrittura (Eccl. 3, 27): Chi ama il pericolo, in esso perirà.
Conviene invocare frequentemente il patrocinio della Vergine Santissima, specialmente al primo insorgere delle tentazioni, e usare una giaculatoria come la seguente:
«O Vergine purissima, monda il mio cuore e la mia carne colla tua santissima verginità e la tua immacolata concezione. Così sia.»
Il sesto e il nono precetto del Decalogo, espressi in testa al 20. dell'Esodo, v. 14 e 17, evidentemente equivalgono, e perciò giudicammo di trattarli sotto uno stesso titolo.
Come si proibisce, sotto il titolo di furto, qualsiasi usurpazione della cosa altrui, così sotto il titolo di lussuria(1), si condanna ogni azione ogni peccato contro la castità.
La castità detta cosi perchè proviene dal verbo castigare, che indica freno alle concupiscenze (dice S. Tomaso, 22, q. 151, art. 1), è una virtù morale che modera i diletti venerei a seconda dei dettami della ragione.
Essa è una virtù speciale, imperocchè ha un oggetto distinto: le è annessa la pudicizia, che deriva dal pudore la quale per un verecondo rispetto della dignità umana rifugge talora anco da cose che potrebbero essere lecite.
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