Ora non c'è dubbio che un prete il quale commette queste enormi ignominie cagiona a sè stesso rovina, alle anime perdizione, e alla religione discredito.
Per queste ragioni, la Chiesa, prima dell'ordinazione, annuncia ai fedeli astanti, a nome del Pontefice, che «se alcuno ha qualche cosa contro gli ordinandi si mostri e — con Dio e per Dio parli con tutta fiducia.» (Pont. Rom.)
E' per ciò che in molte diocesi, il nome dei giovani che devono avere l'ordine sacro si pronuncia pubblicamente durante la solennità della messa, come si fa coi bandi matrimoniali, e ciascuno che conoscesse qualche impedimento all'ordinazione è obbligato a rivelarlo; dunque a più forte ragione, coloro i quali sanno che un sacerdote o un prete qualunque vive in modo vergognoso, o si fa eccitatore di cose turpi, devono parlare. Questa dottrina è espressamente insegnata da S. Tommaso, nella 4 sent. tit. 19, q. 2, art. 3, ove dice: «Se poi questo peccato tocca altri, deve essere denunziato al prelato, affinchè esso metta in guardia il suo gregge.»
Pontas, al vocabolo denunciare, caso 5, insegna la stessa cosa, benchè al vocabolo confessore caso 7, non risolva con eguale precisione un caso simile.
Si può obbiettare: 1. Che i superiori ecclesiastici, ordinariamente, non possono togliere il sacro ministero a un sacerdote così denunciato; 2. Che una tale denuncia rende odiosa la confessione; 3. Ch'essa espone i complici al pericolo dell'infamia e del vituperio; 4. Che tanto ripugna questa rivelazione ai complici, ch'essi spesso preferiscono di non accostarsi ai sacramenti della Chiesa.
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