2. Coloro che, per debolezza personale, soggiaciono a grave pericolo di lussuria nei balli, devono astenersene sotto pena di peccato mortale, a meno che cosa impossibile non vi sieno costretti da urgente necessitį, ma anche in questo caso devono non essere nel pericolo di prestarvi il loro consenso volontario.
A questi peccatori, fino a che non si sieno emendati, o sinceramente promettano di astenersene in seguito, devesi negare l'assoluzione.
3. Coloro che dąnno scandalo, benchč danzino non disonestamente peccano mortalmente, a meno che non sieno scusati da una necessitą, se pure in questo caso č possibile una necessitą. La cosa č evidente. I monaci, i religiosi, i preti inferiori, che danzano in publici balli, non vanno immuni da peccato mortale, quantunque danzino castamente. Tale sembra l'opinione di molti teologi e fra essi Benedetto XIV, il quale nelle Istit. 76, gią citate, interdice rigorosamente le danze ai sacerdoti e ai preti, e dimostra la sua interdizione con ragionamenti e con testimonianze.
Lo stesso Pontefice, secondo S. Tomaso, dice: «Se le danze si fanno da preti e sacerdoti, fra loro, non in presenza di laici, per solo sollazzo e leggerezza, sono peccati, ma non mortali.»
4. Non č peccato il ballare moderatamente, o l'assistere a danze oneste per qualche necessitą o per convenienze sociali, senza perņ che vi sia pericolo alcuno di lussuria.
In questi casi non ci potrebbe esere peccato se non allorquanto si offrisse occasione di far peccare altri, o di partecipare agli altrui peccati; ma nella nostra ipotesi vi ha sufficiente ragione per permettere una cosa che avviene all'infuori della propria volontį.
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