Così Sanchez, S. Liguori e in generale i teologi stranieri.
Non ci sarebbe peccato alcuno, se una causa ragionevole di necessità, di utilità o di convenienza sociale persuadesse qualche persona ad assistere a spettacoli non osceni, nè gravemente pericolosi in sè, imperocchè c'è sempre qualche sufficiente ragione di scusa là dove non si può che molto indirettamente a far peccare altrui o, se si espone sè medesimi in qualche pericolo, è un pericolo molto lontano.
A simili spettacoli possono assistere senza peccato:
1. Le donne maritate, purchè ciò non dispiaccia ai loro mariti;
2. I domestici e le domestiche, per servizio dei loro padroni;
3. I figli e le figlie di famiglia, se tale è la volontà dei loro parenti;
4. I soldati e i magistrati, incaricati di vegliare al mentenimento del buon ordine;
5. I re e i principi, affine di conciliarsi l'affetto dei loro sudditi;
6. Le persone che seguono il principe, ecc.
Tutti costoro non peccano, ma ad una condizione, cioè che assistano agli spettacoli senza intenzioni lubriche e senza acconsentire a emozioni voluttuose, caso mai insorgessero.
Contro gli spettacoli scrissero espressamente il Principe De Conti, Nicole, Bossuet, Desprez-De-Boissy: li hanno pure condannati, l'autore dell'opera intitolata: «CONTE DI VALMONT« Tromageau, Pontas e quasi tutti i nostri teologi. Lo stesso G. G. Rousseau, in una lunga ed eloquente lettera a D'Alembert, li biasimò fortemente. Molti altri si potrebbero citare, come Racine, Bayte, La Mothe, Presset, Riccoboni, i quali enumeravano tutti i pericoli del teatro, e, dolenti di avervi cooperato, opinavano che gli spettacoli potevano abolirsi.
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