15. lib. 4. Decretal. Se poi i conjugi non possono vivere in questo modo senza esporsi al pericolo di peccare, non devono più, di fatto se non di diritto, vivere assieme, malgrado gli inconvenienti e lo scandalo che ne ponno derivare, sempre che però abbiano invano tentati tutti gli altri mezzi per conservarsi casti.
Si domanda: 12. Se gli sposi, afflitti da impotenza perpetua e ignari della nullità del loro matrimonio, che dopo il triennio si sforzano ancora di consumare l'atto carnale, possono essere lasciati nella loro buona fede.
R. Se constasse essere dessi in buona fede e che un avvertimento non li farebbe ricredere, sarebbe forse conveniente il lasciarli nella loro ignoranza, perchè in questo caso si solleverebbe un male minore, cioè, un peccato materiale, per evitare un male maggiore, cioè, un peccato formale. Sembra però improbabile che due saosi credano sempre in buona fede che a loro sia lecito di tentar un atto che essi mai non compiono, nè possono compiere. Ma può darsi che questa ignoranza li scusi, se non interamente, tanto almeno da non essere in peccato mortale. Ad ogni modo, noi crediamo che, generalmente, devono essere ammoniti, e sviati dal peccato, ma tuttavia devesi ordinariamnte usare tanta prudenza da non lasciar loro conoscere la gravezza del peccato.
Si domanda: 13. Che si deve fare se, sciolto il matrimonio per impotenza, si viene a conoscere che il conjuge giudicato impotente, non lo è più?
R. Se l'impotenza fu tolta con mezzi illeciti, sovranaturali o gravemente pericolosi, l'impedimento si considera come fosse un impedimento perpetuo, e il matrimonio si giudica bene sciolto.
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