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      D'altronde, secondo la stessa istituzione del matrimonio, il marito e la moglie sono due in una medesima carne; ciascuno di essi dunque non può aver commerci carnali con altra persona, senza recare una grave ingiuria al suo coniuge. Perciò, qualsiasi atto venereo compiuto con persona estranea, o occasionato da essa, come l'accoppiamento carnale, i contatti, i baci, il desiderio di compiere questi atti, o il compiacersi volontariamente in essi, riveste il carattere di una duplice malizia, che deve essere dichiarata al confessionale: c'è malizia contro la castità, e c'è malizia contro la giustizia.
      Dicasi lo stesso circa quella mollezza lussuriosa che in certo qual modo offende la fede promessa, come, per esempio, l'abusare del proprio corpo, sul quale l'altro coniuge ha dei diritti, acquistati allo scopo di compiere gli atti venerei.
      Detto questo, dividiamo il presente Capo in tre articoli:
      1. Dell'atto coniugale considerato in sè stesso;
      2. Della richiesta del debito coniugale;
      3. Del debito coniugale, reso.
      ARTICOLO I. — Dell'atto coniugale considerato in sé stesso. — Noi abbiamo provato nel Trattato del Matrimonio L. 4 p. 119 terza edizione contrariamente a molti eretici, che il matrimonio considerato in sè stesso è buono e onesto: ne risulta quindi che l'atto carnale nel matrimonio non ha, per sè stesso, nulla di cattivo, e può essere anzi meritorio, se è esercitato per una ragione soprannaturale, per esempio, colla intenzione di mantenere al proprio coniuge quella fede che fu promessa chiamando in testimonio Dio, oppure se avviene per scopo religioso, per ottenere cioé dei figli destinati a servir fedelmente Iddio, ovvero affine di rappresentare l'unione di Cristo colla Chiesa.


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Venere ed Imene al tribunale della penitenza.
:Manuale dei confessori
di Jean Baptiste Bouvier
1885 pagine 191

   





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