E' a notarsi che il voto di castità perpetua, emesso prima o dopo il matrimonio, e che non impedisce di rendere il debito coniugale, diventa voto perfetto morendo l'altro coniuge, e non può essere rotto se non dal solo Pontefice, qualora si volesse contrarre un nuovo matrimonio.
Quegli che, dopo il voto di non sposare, contrae matrimonio, pecca mortalmente, ma può, senza dispensa, rendere e chiedere il debito coniugale. Sciolto questo matrimonio, non ne potrebbe validamente contrarre un altro senza dispensa.
II. Il coniuge che ebbe un commercio carnale, naturale e completo, con persona consaguinea all'altro coniuge in primo o in secondo grado, non ha più il diritto di chiedere il debito coniugale, e pecca mortalmente se lo esigesse, perchè egli avrebbe in questo caso stabilita col suo coniuge una parentela d'affinità, affinità che è un imdimento sopraveniente al matrimonio validamente contratto. Da questo impedimento può dispensare il vescovo da sè o col mezzo dei suoi vicarii generali, ovvero può dar facoltà di dispensa ai confessori.
Nella nostra diocesi, per una speciale concessione di Monsignor Pidoll, tuttavia in vigore, i parrochi primarii possono dispensare ogni diocesano da questo impedimento, ma solamente nel foro della penitenza, impartiscano o no la sacramentale assoluzione (Enchiridion, p. 9.)
Questo impedimento, sopravveniente al matrimonio, essendo stato istituito come una pena, non obbliga la parte innocente, la quale può quindi chiedere il debito, e l'altro coniuge è tenuto a ricambiarlo.
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Pontefice Monsignor Pidoll Enchiridion
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