Abbiamo cominciato questo capitolo colla congettura che faceva l'Ochorowicz, ne croyant pas aux esprits; ma abbiamo dovuto arrivare fino a quella dell'Hartmann la quale mi par fatta ne voulant absolument pas croire aux esprits. Ma non affrettiamoci a concludere; torniamo ad esaminare le comunicazioni dei pretesi defunti.
XXIII
Abbiamo parlato finora del contenuto delle comunicazioni medianiche; parliamo ora della forma. Ci sono degli esempj nei quali nemmeno la forma si spiega colla magia dell'incosciente. E la forma può essere più caratteristica del contenuto. E questi esempj sono abbondantissimi. Si possono dividere in tre classi, secondo che si riferiscono allo stile, alla lingua, od alla scrittura del defunto. Esaminiamole partitamente.
1° La prima classe dunque, la meno importante, è quella delle comunicazioni nelle quali si riconoscono lo stile, le espressioni abituali, gli intercalari di un defunto. Gli esempj di questa specie si vedano nell'Aksákow (p. 662, ss. ). Io non ne cito alcuno perchè, sebbene queste prove siano in pratica molto convincenti (sopratutto quando il defunto è ignoto al medio, ed agli astanti, ed il suo stile è riconosciuto da terze persone), la convinzione che danno è più morale che scientifica. Egli è vero che lo stile è l'uomo; ma è anche vero che i più dotti critici tedeschi non possono mettersi d'accordo sulla questione se lo stile di certi dialoghi platonici, per es. del Sofista e delle Leggi, sia o no di Platone. Quindi si potrebbe questionare anche sull'autenticità del romanzo che Dickens morendo lasciò interrotto e che avrebbe condotto a termine per mezzo di un medio scrivente.
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