Nel quale ogni dì più crescevano i sospetti, avvalorati dall'apparire della cavalleria del re di Napoli, e dall'adunare che faceva il papa da ogni banda soldati per difendersi delle regie insidie e minacce. I Romani, che detestavano il giogo dei Napoletani non meno delle papali usurpazioni, convennero di trattare di pace con Innocenzo. E a tale effetto mandarono a lui alcuni dei primarii cittadini, i quali assaliti nel ritorno e messi in potestà di Luigi Migliorati nipote del papa, furono fatti da costui barbaramente uccidere. Leonardo, testimone del tradimento e del crudele assassinio, e che in quei trambusti corse qualche pericolo, mentre rimprovera al popolo di avere abusato della libertà, tace dell'abuso stranissimo e intollerabile della potenza; il che s'egli è conveniente a un cortigiano, mal si addice alla fiera indipendenza del cittadino di una libera repubblica. Nel concetto di taluni il popolo ha sempre torto quante volte dalle ingiustizie, dalle scelleratezze e dalle insigni ribalderie de' potenti è tratto agli eccessi, come se questi non fossero veramente i soli colpevoli e del male che fanno e degli eccessi a cui co' loro iniqui portamenti conducono i miseri popoli.
La novella sparsasi della crudeltà del fatto commosse l'intera città; gli animi tutti erano accesi alla vendetta; corse il popolo alle armi per vendicare gli uccisi, ed Innocenzo sprovveduto di forze, e impotente a resistere, prese la fuga e si ritirò a Viterbo, dove Poggio Bracciolini e Leonardo lo accompagnarono.
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