Di ciò s'avvide, benchè tardi, il nostro Leonardo, il quale non altro desiderò che di uscire presto d'imbroglio e di riparare in più sicuro e tranquillo porto. E cotanto odioso e intollerabile gli divenne il vivere fra quella vilissima gente, che sospirava con infinito desiderio la solitudine, e piuttosto che in corte avrebbe anteposto di starsi appiattato in una selva17. E non sapendo trovare un'onesta ragione di partirsi, si raccomandava agli amici suoi Poggio e Niccolò Niccoli, perchè si adoperassero a farlo richiamare in patria18. Ma per l'indugio che questi posero nel rispondere alle sue istanze, trovatosi egli privo di aiuto e di consiglio, andò a Rimini, dove il papa si rifugiava. Quivi essendo senza occupazioni e senza cure, attese a cercare e a studiare gli avanzi d'antichità, de' quali diede poi minuto ragguaglio al Niccoli in una lettera, in cui si leggono pur anco le lodi di Carlo Malatesta, ch'egli esalta siccome principe risplendente per grandezza d'animo, eccellenza d'ingegno, maturità di consiglio, prudenza somma e virtù che ai migliori dell'antichità il rassomigliavano. Lo dice perito nelle arti della pace non meno che in quelle della guerra (nelle quali avea date chiare prove del valer suo), amante delle lettere e dei loro cultori, della poesia e di tutti gli utili e ameni studi19.
In questo mezzo, furono adempiuti i desiderii di Leonardo, che dal governo della repubblica venne richiamato in patria. Sollecitato indi a poco a trasferirsi a Pisa, ivi si condusse nell'aprile del 1409. Mentre Gregorio dal suo ritiro di Rimini intimava un concilio nella provincia di Ravenna, e Benedetto un altro in quella di Perpignano, i cardinali convenuti a Pisa condannarono e deposero i due papi rivali, e si accordarono nell'eleggere Pietro di Candia arcivescovo di Milano, che prese il nome di Alessandro V. Contro gli Atti del Concilio protestarono i due papi, ma indarno.
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