Questa noi ricevemmo e cercammo di riprodurre.
Dopo la morte del Boccaccio la letteratura divenne infeconda, l'originalità mancò interamente, dacchè l'erudizione era venuta a inceppare gl'ingegni. Ai grandi e originali scrittori sottentrarono imitatori servili, gente senz'anima, senza immaginazione, senza sentimento. Tutti si volsero all'erudizione, e questo campo larghissimo e fecondissimo coltivarono con ardore infaticabile. Lo studio degli antichi, il desiderio di apprendere le loro lingue divenne una specie di passione che s'impadronì di tutti gli animi, e che parve sospendere nella nuova generazione la vita. Nell'antichità si educarono, studiarono intensamente e con una specie di frenesia, e in quella tanto si profondarono da non reputare bello se non ciò che era antico. Guardando unicamente all'antica Roma, alcuni felici ingegni riuscirono sì bene a pensare, sentire e parlare come Cicerone, Livio e Virgilio, che, per dirlo con una frase del Sismondi, parvero ombre degli antichi. Ma se la cultura delle lettere classiche molto aggiunse al fondo dell'erudizione, se giovò al sapere in generale, nocque grandemente allo spirito patrio e ancor più alla lingua viva, che per la gara di scrivere in latino fu lasciata irrugginire. Molti che avrebber potuto acquistarsi fama di eccellenti scrittori, dove nella natia favella avessero scritto, preferirono, scrivendo in una lingua morta, e non altro che greci e latini non liberamente ma servilmente imitando, di rimanersi scrittori mediocrissimi, se non forse barbari.
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