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      Ond'è che non parvero buoni che a recitare orazioni, in cui con frasi tolte da Cicerone, da Livio e da altri antichi scrittori studiavano a celare la povertà delle cose. Laonde, in tanto ardore di studi, amore di sapienza, entusiasmo per l'antichità classica, l'Italia annighittiva, che a lei non pensavano que' dottissimi, intenti a rinnovare anzi che emulare l'antichità, peregrinanti con la mente negli antichi tempi, tanto solleciti del passato quanto incuranti del loro presente.
     
      Mentre il pensiero sotto l'impero delle forme antiche si ripiegava, e i cuori sotto la tirannide domestica e la servitù straniera si prostravano e incodardivano, anche gli animi e gl'ingegni più fortemente temperati venivano più e più sempre rimettendo di vigore e di potenza. Tanto nel carattere che nelle opere degli uomini dediti particolarmente agli studi, apparivano segni manifesti di una decadenza precoce, da cui era facile argomentare che incapaci sarebbero di produrre, tanto negli ordini del pensiero che dell'azione, alcuna cosa che degna fosse dei tempi ai quali era esclusivamente rivolta la loro ammirazione. Non più splendeva in essi quell'altezza e nobiltà d'animo, non ardevano quei sentimenti politici e quell'amore di patria che comuni e presso che universali furono negli antichi tempi. Dove poi agli scritti si rivolga la mente, ben si vede a prima fronte che essi non sono mica portati naturali e spontanei del pensiero e della fantasia italiana, ma frutto di un lungo e ostinato studio dell'antichità, ed effetto d'idee, d'immagini, di sentimenti di un altro tempo, che niuna relazione avevano con quello presente.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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