I principi, con la protezione alle lettere, alle arti e ai loro cultori, cercavano di far dimenticare ai popoli le perdute libertà, e di rendere meno odioso e più tollerabile il dispotismo temperandolo coi godimenti dello spirito. Alcuni privati che nelle repubbliche lacerate dalle fazioni e dalle sette miravano a dismettere la veste del cittadino per indossare la porpora del tiranno, gareggiarono di liberalità coi principi, volendo eglino con ciò attirare sopra di loro gli sguardi e l'amore dell'universale.
Tra i privati tiene un posto eminente Cosimo de' Medici, intorno a cui si strinsero successivamente il nostro Leonardo, Poggio Bracciolini, Ambrogio Traversari e tutti i più segnalati cultori delle lettere e delle arti, dei quali egli incoraggiò gli studi e le fatiche. Però nel favorire le scienze, le lettere e le arti, egli fu mosso non solamente da un certo amore che nutriva per esse, e fors'anco dal bisogno che avea il suo spirito di rinfrescarsi alle pure fonti della classica antichità, ma altresì dall'interesse del suo sistema politico. A fare che gli uomini più rischiosi dimenticassero i pubblici negozi, vide ch'egli era mestieri tenere altrove le menti occupate: a tale effetto le arti e le lettere si prestarono a meraviglia, imperocchè essendo tutta l'attività degli studiosi ristretta all'erudizione e alla filologia, si poteva eccitare senza pericolo. Egli mirò a sostituire alle antiche agitazioni della Repubblica il moto pacifico delle lettere. Ma se taluni maravigliati alla grandissima e dicasi pure nobilissima attività di Cosimo, e in generale di tutta la famiglia de' Medici, non cessano dall'esaltarla oltre il vero, senza tener conto dello scopo cui era diretta, a noi sarà permesso di notare come da quella cominciasse la corruzione della Repubblica, e com'essa segni il principio della decadenza delle pubbliche libertà, sottentrando alla prodigiosa attività e alla gloria di un gran popolo l'attività e la gloria di una famiglia.
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