Se l'uso invalso di scrivere in latino molto contribuì a ritardare i progressi dell'idioma volgare, a ciò concorsero pur anco le peggiorate condizioni della Penisola. Interrogando la storia, sarebbe facile il dimostrare come sempre la lingua soggiacque alle stesse vicissitudini che la libertà; e prosperarono insieme, e insieme precipitarono. Anche il ritorno e la cieca fede nell'antichità, lo studio dei grandi esemplari antichi ch'ei tenevano del continuo dinanzi alla mente, fu in parte utile in parte dannoso: utile in quanto potevano essere sorgente di grandi cose; dannoso in quanto contribuirono a fare che i modelli e l'autorità troppo spesso al gusto individuale prevalessero, di guisa che venne a mancare interamente l'originalità. Alle naturali e vere impressioni, ai pensieri originali, al gusto particolare d'ogni individuo sottentrarono le ripetizioni e le riproduzioni d'idee, d'immagini e di sentimenti di altri tempi troppo dissomiglianti da quelli che correvano, e che mal si aggiustavano ad una civiltà al tutto diversa. Ma di questo male non vuolsi mica incolpare l'antica letteratura, ma l'abuso che se ne fece tortamente applicandola, e dall'abuso vennero i traviamenti e gli errori. E l'abuso principale derivò dal modo dell'imitazione, la quale presso i dotti del quattrocento non fu già quella imitazione larga e diretta, che ritrae le cose dal vero, ma l'altra servile che le ritrae dalle copie. Troppo diversi anche in ciò dai grandi del secolo XIII, i quali studiarono e imitarono i classici, ma aiutati da una particolare attitudine d'arricchirsi di tutto, di fare loro proprio l'altrui e immedesimare ogni cosa in guisa da conferire loro aspetto e qualità rispondente ai tempi in cui vivevano e alla nazione a cui appartenevano, riuscirono originalissimi.
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Penisola
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