Delle lunghe fatiche sostenute nel ricercarle scriveva all'amico suo Poggio Bracciolini in questi sensi: "Quod autem de rebus meis certior fieri postulas, ego ad studia id refero. Vereor equidem ne insanire cœperim ea scribere aggressus, quæ supra meas sunt vires. Exegi librum meum, eumque pergrandem, in quo longo discursu multa quæ ad historiæ nostræ cognitionem pertinent, explicavi. Habet varietas delectationem, cognitio vero etiam utilitalem. Sed tantus est labor in quærendis investigandisque rebus, ut jam plane me pœniteat incœpisse57." Il Foscolo, in quel discorso sul testo del poema di Dante, accennando al nostro autore, scrive: "È prudentissimo narratore; serba nome d'uomo veridico: era cancelliere della Repubblica: aveva adito in tutti gli archivi ed esploravali componendo la Storia d'Italia e segnatamente dei Fiorentini58, la quale (soggiunge più sotto) se fosse ristampata, la è storia che darebbe più frutto che non trenta o cinquanta chiamati classici: fu tradotta ragionevolmente da un Acciaiuoli a' tempi di Lorenzo de' Medici59." Noi senza disconoscere l'importanza e l'utilità di quella storia e i pregi che la fanno degna di essere letta e studiata, singolarmente da coloro che delle cose storiche si dilettano, ne pare che il Foscolo, discorrendone in quella guisa, esagerasse, e non si mostrasse critico abbastanza oculato. Più vero, più giusto è il giudizio che di essa recava il Machiavelli, le cui parole non pensarono a riferire gli storici delle nostre lettere; mentre d'altra parte non tralasciarono di ripetere tutto che di quella bene e male scrissero i contemporanei, e che forse era lode il tacere.
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