Anche di versi si dilettò il Bruni. Scrisse poesie latine e volgari; ma se quelle alcuni come eccellenti celebrarono, queste Apostolo Zeno giudicò di non mollo rilievo, e tutti faran plauso alla sua sentenza. Ne' versi volgari si sente troppo l'imitazione dei poeti latini, e molto si desidera di quell'eleganza, di quella leggiadria e di quella ispirazione, senza delle quali non si da vera e amabile poesia. Inutile egli è il ricordare qui tutti gli scritti che divulgati o inediti lasciò quest'uomo infaticabile, tanto più dopo il catalogo minuto che ne diede il Mehus, al quale potranno ricorrere coloro che bramassero prendere di quelli più ampia cognizione. Quantunque in tutte le opere dell'Aretino sia piuttosto da ammirare l'erudizione vastissima, l'ampiezza del sapere e la piena cognizione delle lettere greche e romane, di quello che la novità dei pensieri e l'originalità della forma, pur nondimeno parvemi non inutile il far menzione di alcune delle principali, come testimonio, non foss'altro, della sua rara ed instancabile operosità. E non solo egli attese a fare di suo, ma moltissimo si esercitò pur anco nelle traduzioni; delle quali lasciò grandissima copia. Tradusse dodici epistole e i dialoghi il Fedone, il Gorgia, il Fedro, il Crito di Platone, l'Elica, la Politica e gli Economici di Aristotele, l'Apologia di Socrate di Senofonte, l'Orazione contro Eschine e la terza Olintiaca di Demostene, l'Orazione contro Clesifonte di Eschine, il libro del Tiranno di Senofonte filosofo, e per ultimo un'operetta di Basilio Magno intorno agli studi a cui più specialmente applicar si dee la gioventù religiosa.
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