Ma io sono di quelli, che tanti uomini famosi, de' quali i rilevati fatti poi per tutta Italia furon noti, non giudicherei nè vili nè imprudenti; e piuttosto attribuirei questa colpa alla condizione de' tempi, la quale non è nota a chi tale cosa riprende. Perocchè egli è da considerare, che essendo riscaldati gli animi delle parti, i cittadini più riputati e principali s'erano divisi; ma la plebe, come ambigua e incerta, non era più data all'una parte che all'altra: sempre seguitava i vincitori, e non meno gli usciti che quelli di drento riputava suoi cittadini. E se fosse stata questa contesa co' nimici esterni e non co' propri cittadini, non è dubbio che il pericolo commune della plebe e de' cittadini eletti e reputati, avrebbe unito ognuno insieme alla difesa della patria. Ma la ritornata degli usciti, come all'altra parte il pericolo grande, così nessuno alla plebe recava, perchè pareva loro, che la terra non venisse nella potestà de' nimici, ma ritornasse nelle mani de' loro cittadini. E pertanto, a quelli che erano reputati principali della parte guelfa, aspettare i loro avversari e rinchiudersi drento dalle mura, non era altro che offerirsi a una manifestissima morte: ma partirsi a salvamento e riserbarsi a migliore speranza, pareva che fosse non solamente prudente, ma ancora animoso consiglio.
Gli usciti, poi che furono soprastati alcuno dì per dividere la preda, si partirono da Siena, e con grande gente a piè e a cavallo vennero a Firenze. E non trovando alcuna resistenza, entrarono dentro a' dì XVII di settembre, chè a' dì quattro di settembre detto avevano fatto la battaglia in sull'Arbia negli anni della cristiana salute MCCLX. In questo tempo venne la città a mutare stato, e terminare la potenza del popolo, che dieci anni dopo la morte di Federico, con grande acquisto di glorie e di vittorie, aveva governata la repubblica, in nessuna cosa degno di riprensione, se non della troppa ferocità e audacia.
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