La plebe e la moltitudine della terra si ragunò a Santa Trinità; il conte Novello quasi con tutta la nobilità della parte sua e con la gente d'arme de' Tedeschi e degli amici che erano venuti in loro aiuto, si ridusse alla piazza di Santo Giovanni: dove essendo stato alquanto, e avendo inteso la moltitudine della città essere alla piazza di Santa Trinità, si mosse con tutte le genti, e dirizzò le squadre verso il popolo, il quale non ricusò la zuffa, e vigorosamente gli andò incontro. Ma fu tanta la quantità delle pietre, che come una gragnuola dalle torri e dalle case pioveva, che furono costretti a ritrarsi dalla battaglia; e massimamente il conte Novello, che veduto il pericolo grande, tirò i suoi indietro, e per la medesima via ch'egli era venuto, li ridusse al tempio di Santo Giovanni. Di poi, pensando seco medesimo al movimento grande e allo sdegno della moltitudine, e sapendo ancora che alcuna della nobilità s'erano alienati da lui, non gli parve quella notte drento dalle mura stare sicuro. E pertanto, partito di quello luogo, mosse le bandiere verso le case dove erano Catelano e Loderingo, rettori della città, e domandò le chiavi delle porte pubbliche, per uscire fuori della terra. I rettori chiamavanlo dalle fenestre, e confortavanlo a restare drento nella città, promettendo che sopirebbero quello movimento. Ma era tanta la sospizione che gli era entrata nell'animo, che ogni cosa riputava che si facesse a sua distruzione. E pertanto, come ebbe le chiavi delle porte, comandò a uno trombetto, che ad alta voce domandasse, se tutti i Tedeschi si trovavano presenti: ed essendo risposto che v'erano, di nuovo fece domandare, se tutte le genti degli amici si trovavano quivi: e similmente essendo risposto che v'erano, comandò a quello che portava la bandiera che andasse via.
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