Ancora ordinarono, che solamente uno rettore, e non due, come si era fatto prima la riforma, avesse la podestà di fare ragione in vece e nome del popolo fiorentino.
In questa maniera riformato il governo della repubblica, ridotto al vivere antico e popolare, perchè la nobilità quasi tutta si trovava fuori, parve loro, per ornare e fare reputata la città, di restituire tutti gli usciti; stimando ancora questa tale restituzione riguardare la quiete e la tranquillità della repubblica, e rimediare che questi tali usciti per violenza non venissero a fare qualche grande rivoluzione. Preso adunque questo per migliore partito, ottennero una legge nel popolo, che a tutti i cittadini che dopo la battaglia fatta all'Arbia si trovavano in esilio, e similmente a quelli che s'erano partiti col conte Novello, fosse lecito senza alcuno pregiudizio tornare nella città.
Dopo questa deliberazione, subitamente quelli (cioè i guelfi) che avevano seguitato il re Carlo, tornarono drento nella terra sei anni di poi ch'egli erano stati in esilio. Grande letizia prese il popolo a vedere questa compagnia de' guelfi ornata d'arme e di cavalli e di fortissimi uomini ed esercitati nel mestiere della milizia, parendo loro vedere uno grande fondamento della loro repubblica. Ma desiderando di levare via le nimicizie e le discordie della nobilità, e stimando che questo avesse a essere uno buono provvedimento a tenere la terra in pace non solamente per il tempo presente ma ancora per lo avvenire, furono operatori di fare molti parentadi fra i capi dell'una parte e dell'altra, per unirli insieme con qualche vincolo di benevolenza.
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Arbia Novello Carlo
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