Questa medesima sospizione toccando il sommo pontefice, perchè di Toscana solevano venire molte novità, deliberò ancora lui di fare opportuni provvedimenti. E pertanto, con esempio nuovo e nientedimeno molto necessario, per sopire ogni turbazione che potesse nascere, il governo della Toscana, come cosa ricaduta e spiccata dallo imperio, riserbò a sè e alla sedia apostolica. Questa cosa parve ancora più tollerabile, perchè in quello tempo nessuno v'era presidente, e pareva che per autorità della sedia romana e per le condizioni de' tempi, e non per ambizione, fosse stata fatta tale deliberazione. Riservata adunque la Toscana e il governo di quella a sè, il sommo pontefice fece il re Carlo suo vicario: e con questa presa il detto re, quasi mosso da giusto titolo, mandò la prima volta le genti in Toscana. Venendo queste genti, e appressandosi alla terra di Firenze, i cittadini che avevano fatta la guerra sotto il re Carlo, insieme con tutta la parte che per la vittoria e beneficio suo erano ritornati nella patria, si misero in punto a ricevere il capitano e tutte queste genti francesi, le quali erano per comune esercizio della guerra a loro notissime. Dall'altra parte gli avversarj loro, cioè i ghibellini, tutti sbigottiti, un dì innanzi che le genti entrassero in Firenze, volontariamente, se ne partirono: e questo fu tre mesi di poi che i guelfi erano ritornati.
Per questa mutazione essendo rinnovata la contesa delle parti, i cittadini che erano rimasi drento dettero pieno arbitrio della città al re Carlo, mossi da singolare benevolenza verso di lui, il quale veramente predicavano essere stato autore della loro tornata e protettore della salute loro.
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