Ritornato che fu l'esercito nella città, e tutti quegli ghibellini i quali s'erano partiti innanzi alla venuta delle genti del re, furono fatti ribelli, cominciò di nuovo fra i cittadini una grande contesa: perocchè i guelfi che erano stati in esilio dopo la rotta dell'Arbia, domandavano i beni de' loro inimici, assegnando e ricordando, che in quel tempo le case loro nella città, e le ville e le possessioni nel contado, erano state disfatte; e in compensazione e ristoro di questi danni, domandavano i beni di quelli tali che ne erano stati cagione. E perchè le loro domande erano senza alcuna misura, e chi più poteva, più s'ingegnava d'occupare, parve loro di rimettere questa cosa nell'arbitrio del re: il quale, avuto piena notizia di queste differenze, giudicò, secondo che si dice, che de' beni de' ribelli si satisfacesse a' cittadini guelfi, secondo la stimazione de' danni ricevuti. E per mettere ad esecuzione quest'ordinamento, furono creati dodici uomini, che diligentemente esaminarono ogni cosa, e in su libri deputati per loro officio ne fecero fare particolare nota. Dopo la restituzione fatta, avanzarono certi beni, de' quali una parte ne misero in commune; un'altra parte ne consegnarono all'officio de' capitani di parte guelfa.
E' pare, che il sommo pontefice e il re Carlo non senza grande cagione fossero desiderosi d'accrescere ed esaltare la parte guelfa: perchè il papa, avendo ricevuto da Manfredi e da' suoi per lo addietro molte ingiurie, e in quel tempo temendo grandemente la venuta di Corradino, s'ingegnava che questi uomini, i quali aveva trovati fedelissimi inverso di sè e della chiesa romana, in ogni tempo avessero a dominare.
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