E se si fanno incontro a domandare la pace, e, poste da canto le passate ingiurie, umilmente domandano di vivere in buona concordia con noi una facile e semplice risposta si può fare. Certamente la tua bontà è ingannata, beatissimo Padre, se ella stima che si debba credere alle parole loro. Egli hanno senza dubbio mutata la fortuna; ma l'animo è quello medesimo. Crediamo adunque alle parole loro, se altre volte al fiume dell'Arbia, insieme con la patria, credendo e fidandoci, noi non siamo stati ingannati. Diamo loro la pace e riceviamogli nella città, se questi medesimi, trovandosi dentro, non hanno preso contro a ogni fede occasione di nuocere. E se allora, che non avevano stimolo dentro se non il proprio naturale, fecero quello, ora che sono offesi dell'ultima ferita, la quale tu medesimo affermi essere acerbissima, non crediamo che eglino abbiano a fare il simile? E se mi fosse risposto: E' non così, - dico, che molti più che non si conviene ritengono la memoria delle offese, e nessuno si debbe confidare nel nimico, perchè le volontà degli uomini sono oscure, le parole e la fronte spesse volte mentiscono. E però noi non abbiamo cura tanto alla fama, come tu dicevi, vana delle genti, quanto alla propria salute: e non pensiamo tanto ad acquistar gloria per rimetterli dentro, quanto per tenerli di fuora la nostra sicurtà. Ma quello che nell'ultima parte del tuo parlare come ragione potente pose la santità tua: Se per noi avete preso la guerra, dovete ancora per nostro amore prendere la pace, con tutto che la tua autorità molto ci vinca, nientedimeno considera, se ti pare dovere che, poi ci avete messi in gravissime inimicizie e acerbissimi odii, voi ci vogliate dare una pericolosa pace, e rimettere la salute nostra alla fede di coloro che noi abbiamo offesi.
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Padre Arbia
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