Dubitando adunque, che la via da ogni banda non gli fosse tagliata e impedite le vettovaglie, deliberò levarsi da campo da Messina e tornarsi in Italia. Questa sua deliberazione poi che fu divulgata per l'esercito, mosse tanto il concorso delle genti alla marina (perchè ognuno dubitava di non rimanere nell'isola), che mise in disordine e in disperazione tutto il campo. Abbandonavano padiglione e tende e l'artiglierie che vi erano per espugnare la città, non altrimenti che se fossero rotti: ma fu loro mestiere usare prestezza, perchè a fatica era ridotto l'esercito in Italia, quando giunse l'armata de' nemici. Al re Carlo non parve tempo di pigliare la zuffa: ma deliberando lui di fare la guerra per altra via, ne mandò le sue genti alle stanze, e a casa gli amici suoi rimandò aiuto delle genti e de' navili, delle quali era stato servito in quella impresa. Accadde, che l'armata sua fu veduta in sul partire, e subito assaltata dagli Aragonesi, e prese infra le altre quattro galee, le quali per obbligazioni della ultima lega gli avevano mandate i Pisani
. De' Fiorentini v'era seicento cavalli, i quali tornarono a casa con loro cariaggi a salvamento, eccettochè perderono a Messina in quello tumulto il padiglione, che secondo la consuetudine, pubblicamente era stato donato al capitano loro: il quale padiglione i Messinesi di poi tra l'altre loro spoglie lungo tempo ritennero.
Nel seguente anno stette quieto il popolo fiorentino, e non dette molestia ad altri, ed e converso non ne fu dato a lui.
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